× CHIUDI MENù
Homepage
Indietro
Il viaggio nei sapori calabresi non finisce mai di stupire

Pubblicato il: 22 Marzo 2021

È proprio il caso di dire “dulcis in fundo” per  il terzo ed ultimo tour nei sapori calabresi.

E vai con i dolci tipici! I mostaccioli, la pitta ‘mpigliata, le nacatole, i buccunotti, i turdilli, la pignolata glassata e col miele, le cuzzupe, le paste secche di mandorla e addirittura una Igp tra vari ed eleganti torroni, il Torrone di Bagnara. Sono tutti dolci legati alle festività religiose in cui gli ingredienti principali sono frutta secca, miele, fichi o ingredienti semplici e facilmente reperibili. E soprattutto sono dolci “a lunga conservazione” che rispecchiano la cultura tipica calabrese votata alla “conservabilità” del cibo. Ogni tanto fa capolino un dolce cremoso, come la Pasta gioiosana, i Sospiri, o il Dito d’apostolo che sono più caratteristici del reggino e subiscono l’influenza siciliana.

Insomma, ogni angolo di Calabria ha il suo dolce tipico strettamente legato al territorio e alle sue tradizioni, senza dimenticare che ci sono anche i gelati e le granite, rigorosamente accompagnate dalla brioche col tuppo.

E visto che siamo in Calabria, in barattolo (o meglio “boccacio”), tra le dolcezze, ecco dei mieli incredibili, di sulla o di agrumi, di castagno o delicati di mille fiori o ancora il miele di fichi del cosentino, che tecnicamente miele non è. E ancora le marmellate, di arance, limoni, bergamotto, visto che gli agrumi che la fanno da padrone, o le confetture di frutta e, perché no, di peperoncino o cipolla di Tropea.

E dolci possono essere anche dei vini passiti che in Calabria trovano un territorio congeniale, come il Greco di Bianco, che sa di fichi e datteri, appassito al sole e prodotto tra Bianco e Casignana in provincia di Reggio, che è uno dei vini più antichi del mondo e che condivide il territorio con il Mantonico, suo vicino di casa, anche lui passito e straordinario.

La Calabria infatti senz’altro è sempre più terra di vino, negli ultimi 15 anni da regione di vino sfuso e da taglio ha visto nascere una cantina dietro l’altra e gode di una produzione di altissima qualità. Tra i vini c’è un altro grande passito, il Moscato di Saracena, prodotto quasi esclusivamente a Saracena (CS), nel Parco Nazionale del Pollino, e riportato fortunatamente in vita nello scorso decennio, perché anch’esso come il Greco di Bianco stava scomparendo.

Così come erano scomparso dai disciplinari altri due vitigni peculiari della Calabria, lo Zibibbo, che negli ultimi anni è praticamente rinato e ci regala bellissime espressioni, e il Magliocco Canino entrambi coltivati egregiamente nel vibonese.

Mentre tra i primi vitigni autoctoni calabresi ad essere stato recuperato, quando ancora in Calabria si piantavano solo gli internazionali, c’è il Magliocco, protagonista della Dop Terre di Cosenza, forte di carattere e dal colore intenso e carico che in alcune versioni in purezza resta un fuoriclasse.

Ma il vino che rappresenta forse meglio la Calabria è il Cirò. È stata la prima Doc calabrese, è prodotto da uve gaglioppo ed è un vino di una potenza ed espressività come pochi, dal colore rosso scarico tanto che potrebbe sembrare un barolo, e vi dirò che spesso al barolo non ha nulla da invidiare.

Ma siamo nel mediterraneo e non si può parlare di vino senza parlare di olio, ovviamente nella sua massima espressione, l’Extra Vergine d’Oliva. E la Calabria, con le sue tre Dop e le sue invidiabili cultivar, su tutte l’ottobratica, la carolea e la cassanese, produce in tutta la regione degli oli di grandissimo pregio. Ed olio è anche territorio, se si pensa agli ulivi plurisecolari e statuari come quelli della Piana di Gioia Tauro che danno un’olio che si impone sempre tra i primi nei concorsi oleari italiani e mondiali.

Anche se probabilmente, in questo viaggio in tre puntate, nonostante siano tantissimi, non sono riuscita a citarli tutti (ed è meravigliosa in questa sua biodiversità la Calabria), dai suoi prodotti è facile intuire i sapori della sua cucina, che è intensa, decisa e rassicurante, espressione il più delle volte della tradizione contadina e molto simile in tutta la regione.

Le cotture sono spesso lente (e sanno di casa), sia dei sughi che delle carni, come ovviamente quella del ragù calabrese, o delle minestre, tra le carni stufate immancabili sono l’agnello o la capra, e sempre si condisce la pasta fatta a mano, come la “fileja” o i “maccheroni”, fatti col ferretto, o un’altra pasta tradizionale che è la “stroncatura”. E ancora è ricorrente l’uso delle parti meno nobili del maiale o del bovino, come per esempio nelle “frittole” reggine o nel “morzello” catanzarese, ed anche la contaminazione in cucina con altre culture come quella “arbereshe” o quella “grecanica” che regala dei piatti più che saporiti. E i fritti? Dal nord al sud della Calabria  protagoniste sono le “zeppole” dette anche “crispelle”, con o senza patate, salate ed anche dolci.

A questo punto il nostro lauto pasto, per usare un eufemismo, si può dire concluso… anzi no, ci serve proprio un digestivo, ovviamente è fatto da erbe, semi, radici o frutti calabresi che diventano liquori, rosòli o amari come il bergamino, il finocchietto l’anice o la liquirizia… ovviamente sempre offerti.

Ditemi se non è stato un viaggio meraviglioso, questo nei sapori e nella tradizione calabrese!

Ogni tassello del mosaico di questa terra ha infatti sempre qualcosa da raccontare, un piatto identitario, un fritto, una spezia, un tipo di pasta o un dolce tipico che sa di amore e di abbondanza e, cosa meravigliosa, i suoi prodotti sono incastonati nei suoi borghi, come le pietre preziose di un gioiello, in un territorio bellissimo forgiato perfettamente per accoglierli.